Sul terribile delitto di Giulia Cecchettin è già stato detto quasi tutto. La vicenda è sorprendente perché la vittima stavolta è davvero inattaccabile: una vita tranquilla, una brava studentessa che non lascia appigli ai tentativi di colpevolizzazione e alla semina di dubbi e distinguo. E, in effetti, oggi gli uomini attorno a noi sembrano (quasi) tutti sinceramente costernati.
Eppure c’è ancora qualcosa di molto perturbante nel modo in cui questa notizia viene riportata dalle televisioni e dai giornali. La morbosità e l’appiattimento ideologico che spesso i crimini più efferati si portano dietro, ci permettono di guardare la scena del crimine dalla parte consolante e assolutoria “dei buoni” e di tornare senza veri traumi alle nostre vite e alle nostre tiepide case, dove queste cose – possiamo giurarlo – non succedono. E’ davvero così?
Guardando le statistiche, uno dei dati più interessanti è che i paesi nordici (quelli che secondo l’opinione generale meglio rispettano la parità di genere) registrano anche il maggior numero di maltrattamenti domestici ai danni delle donne. E’ il «paradosso nordico»: uno degli aspetti più sconcertanti riguardo alla condizione femminile nel mondo (se ne parla qui https://www.ilpost.it/2018/04/15/paradosso-nordico-donne-genere/. ) Una delle spiegazioni possibili di questo apparente controsenso è che i crimini contro le donne siano semplicemente più numerosi in contesti in cui le donne rivendicano, affermano ed esercitano il loro diritto alla libertà e all’autodeterminazione. Del resto, dove le donne continuano a svolgere a pieno il loro ruolo ancillare, i conflitti sono minori, le tensioni meno profonde e gli uomini non si sentono messi in discussione e minacciati: perciò che motivo avrebbero di reagire?
La storia di Giulia è ancora una volta la storia di una donna libera che si trova a che fare con un soggetto debole, frustrato, insicuro, emotivamente dipendente e incapace di reggere un rifiuto senza farsi prendere dalla disperazione. E’ la storia dell’uomo che al venir meno della sua relazione con la donna attribuisce il fallimento del suo fragilissimo ruolo personale e sociale e reagisce con la violenza di chi non ha nulla da perdere, la violenza dell’animale che lotta per la sua stessa sopravvivenza.
E’ la storia dell’uomo incapace di viversi “da solo”, in-abituato a costruirsi da solo, e non è una questione esclusivamente di educazione. E’ invece una questione politica, che attiene al ruolo, alle aspettative, alle assegnazioni tradizionali dei ruoli sociali, in cui la donna (ancora quasi cento anni dopo le parole di Virginia Woolf in “Una stanza tutta per sé”) deve continuare ad essere un “delizioso specchio ingranditore” in cui l’uomo può vedere la propria immagine ingigantita e senza il quale l’uomo scopre la sua reale statura e invece che accettarla, distrugge lo specchio.
E se qualcuno ancora non è convinto, risponda a questa domanda: “A quanti uomini è successo di perdere la vita perché hanno opposto un rifiuto ad una donna?”.
Non si tratta di aggiungere una nuova materia a scuola, si tratta di accettare e accompagnare la trasformazione dei ruoli a cui consegue la perdita delle tradizionali prerogative di possesso e di comando dell’uomo. Si tratta di promuovere ancora l’affermazione delle donne in tutti i ruoli, in tutti i tavoli, abituandoci a confronti reali, alla diversità di pensiero, ribellandoci ai tentativi di strumentalizzazione, alle manipolazioni e ai ricatti. Si tratta di vedere le donne non come simulacri e orpelli (carini e ben educati), ma come soggetti pensanti, portatrici di idee e decisioni, spesso scomode, anche fastidiose, ma necessarie. I miserabili ne soffriranno, proveranno a reagire, ma poi – ne sono certa – si abitueranno.
Con grande amarezza, tristezza e profondo dolore.
Paola Pinna a nome di tutta Sardegna 2050