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La Sardegna nella periferia (o nella centralità?) mediterranea, tra ieri e domani

Per definire dal punto di vista politico cosa sia centro e cosa periferia sulla scena internazionale non esistono chiavi di lettura univoche o in assoluto durature, non avendo l’organizzazione del territorio carattere perpetuo, al pari di altre costruzioni sociali. Così, specie in ambito comunitario europeo, oggi una stessa connotazione di marginalità acquisita (quale può dirsi anche quella Sarda) può non corrispondere ad una condanna inappellabile, ma deve al contrario stimolare azioni volte al ripensamento del ruolo di aree geopolitiche misconosciute o trascurate. Tra queste ultime, è stata tradizionalmente da annoverare anche quella del Mediterraneo occidentale, come è ad esempio emerso in occasione del dibattito sulle macroregioni europee, infine incanalatosi su tre linee: baltica, danubiana e adriatico-ionica, in attesa di una piena formalizzazione anche per la macroregione alpina.

Dei progetti di macroregione ‘Mediterraneo occidentale e Alpi latine’, cuore dei programmi Interreg, sono oggi rimaste solo le Alpi. Si tratta di un frutto (talvolta indigesto) della storia che l’Europa si porta dietro. Al momento della sua nascita, la CEE formalizzava un’idea di integrazione continentale con un interesse residuale nei confronti del proprio fianco sud, meno sviluppato e meno strategico. Non solo.

Negli anni successivi al 1957 il sistema si sarebbe ancor più chiuso in conseguenza del completamento del processo di decolonizzazione e del successo dei dettami del panarabismo e del socialismo arabo nell’Africa settentrionale: in sostanza, la periferia mediterranea risulta sempre più lontana dal centro. Un significativo cambiamento emergerà tuttavia di lì a poco. Dalla metà degli anni ’70 si svilupperà infatti la cosiddetta Politica Globale Mediterranea, che patrocinerà le associazioni di Tunisia, Algeria, Marocco, e subito dopo di Egitto, Giordania, Siria e Libano, rilanciando per questa via la rilevanza del Mare Interno, pienamente ribadita poi dagli allargamenti degli anni ’80 (Grecia, Spagna e Portogallo), che dilatano in senso mediterraneo immagine e portata del processo di integrazione e preludono alla Politica Mediterranea Rinnovata degli anni ’90, con la novità della cooperazione decentralizzata e dei programmi MED. Nell’ambito di un mondo che cambiava profondamente, una strada appariva segnata e con essa l’orientamento delle istituzioni europee a considerare in maniera strategica l’area mediterranea.

Nessuno stupore dunque se, dopo alcuni tentativi ancora parziali di sperimentare nuove modalità di coinvolgimento degli attori interessati, si giunga a metà decennio alla ben nota dichiarazione di Barcellona, che più pienamente formalizza l’idea della centralità del bacino e del ruolo di rinnovate forme di interazione regionali; e allo stesso modo, nessuno stupore se in conseguenza di ciò vada crescendo anche il valore politico dei consociati europei con posizionamenti atti a svolgere una funzione di interfaccia con i ‘partner’ meridionali e levantini. Insomma, la collocazione periferica segna un limite ma gioca ora un ruolo portante di trait-d’union rispetto ai vicini. Questo processo trova adeguata collocazione nella odierna European Neighbourhood Policy, che accanto al capitolo orientale presenta una molto propagandata partnership Euro-Mediterranea.

E’ dunque possibile, viene da chiedersi, che nel quadro di questa ritrovata centralità mediterranea giunga a realizzarsi un effetto-domino finalmente virtuoso anche in capo a una terra come la Sardegna? Rispetto alla declinazione sarda del rapporto centro/periferia – reso ancora più annoso dalla cornice di insularità – molto è stato detto ma meno è stato realizzato. La particolarissima collocazione geo-politica della regione andrebbe tuttavia in qualche modo ‘remunerata’. Anche perché, a ben guardare gli atti fondativi della partnership Euro-Med, quelli che ne codificano la mission – sostanzialmente: rafforzamento del dialogo politico e sulla sicurezza, sviluppo del partenariato economico e creazione di una zona di libero scambio, promozione della comprensione reciproca e del dialogo interculturale – la Sardegna ben incarna lo spirito e la lettera stessa del processo di Barcellona. E si potrebbe aggiungere che anche rispetto allo specifico dossier delle reti viarie e dei trasporti, di cui Sardegna2050 si è occupata nel partecipato incontro del 21 febbraio, lo sviluppo delle comunicazioni mediterranee risulta esplicitato nero su bianco nell’atto istitutivo dell’Unione per il Mediterraneo, “sea that joins, not separates, its people”.

L’isola vi è dentro a pieno titolo. Parlare allora di un posizionamento mediterraneo nell’ambito di flussi e trasporti assume un’accezione differente: la consapevolezza di un ruolo storicamente attestato di connessione e di tassello essenziale di una rete vasta, che conduce ad una declinazione nuova del concetto di insularità, che non è dispersione ma connessione – “crocevia al centro del mediterraneo”, come riportava un vecchio Piano Regionale dei Trasporti – in maniera non dissimile da quanto capita alle grandi isole che, a nord-ovest dell’Europa, nessuno taccia di perifericità. Sotto il profilo formale gli appigli sono svariati e qualificati.

Tocca ora ai tecnici il compito di studiare gli strumenti più appropriati per il pieno inserimento dell’isola nei circuiti mediterranei in via di pianificazione a livello comunitario, e ai nostri rappresentanti politici l’onere di ottenerne risultanze pratiche.

G. Borzoni

Sintesi intervento di Gianluca Borzoni – professore Associato del Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni  dell’Università di Cagliari – nell’ambito dell’incontro-dibattito “C’è posto nel Med? – La Sardegna tra l’Europa e il Mediterraneo”, organizzato da Sardegna2050 e OpenMed il 21/02/2015.

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