Inizia a Gennaio del 2016 la mia esperienza di insegnante nell’Istituto professionale di Iglesias.
Il primo giorno di scuola, tramite il Prof. Franco Muceli, scopro l’esistenza di diversi laboratori tecnici, di officine elettroniche e meccaniche utilizzate nell’istituto dall’indirizzo di studi MAT (Manutenzione e Assistenza Tecnica). Nello stesso periodo, grazie a un’articolo su un quotidiano locale che racconta della scuola, di un robot e il suo Dottor Jeckill Muceli, arriva un invito al concorso “RaIn! Raccontami l’Innovazione 2016”, ideato e organizzato dall’associazione Sardegna 2050 e dalla Saras S.p.a. Il prof. F. Muceli decide così di coinvolgermi.
La partecipazione ad un progetto di questo tipo, oltre a riempirmi di entusiasmo, mi permette di toccare con mano il tessuto scolastico, soprattutto nella ricerca di possibili collaboratori. Individuiamo innanzitutto un professore che possa concederci qualche ora per lavorare con alcuni ragazzi al progetto: l’obiettivo finale è quello di realizzare due video di tre minuti che raccontino, appunto, l’innovazione. Buttiamo giù qualche proposta, organizziamo il gruppo di lavoro e troviamo, finalmente, i due gruppi formati ciascuno da 3 studenti. Con il prof. Franco Muceli e il prof. Davide Cannas cerchiamo di definire meglio le idee, queste diventano una traccia e poi una bozza di trama. I ragazzi coinvolti, forse anche con l’entusiasmo di chi sa che salterà alcune lezioni, appaiono subito motivati. Spieghiamo loro il progetto e quello che vorremmo realizzare insieme: due video sul tema innovazione, protagonisti due robot, loro gli attori, sceneggiatori e registi.
Non è un dettaglio da poco il fatto che i robot in questione siano stati assemblati e realizzati proprio a scuola, durante le attività di laboratorio tecnico e che siano stati costruiti interamente utilizzando materiale di recupero.
Il lavoro dei due gruppi procede in parallelo con fermezza e convinzione, in base alla trama scelta: tre minuti, 180 secondi, per raccontare frame-by-frame, alcuni cambiamenti legati alla realtà moderna. Si comincia scattando le prime fotografie in esterno e girando brevi filmati con un semplice smartphone. I ragazzi pensano poi alle musiche da abbinare ad ogni spezzone video e il tutto procede gradualmente attraverso almeno due incontri settimanali, durante i quali ci si confronta, si progetta in modo partecipato e si produce del materiale. Ognuno di questi sei ragazzi riesce così a dare il proprio contributo su entrambi i progetti, raggiungendo in poco tempo l’obiettivo prefisso.
Nasce così “Tempi moderni”, un video in bianco e nero che, tra spunti puntuali e richiami cinematografici (fra questi Charlie Chaplin), narra la vita di un uomo immerso nella realtà industriale, al servizio delle macchine. Conoscenza e professionalità sono gli strumenti che lo aiuteranno a riqualificare la propria vita, ma in preda alla propria alienazione deciderà di farsi aiutare da un robot, che svolgerà per lui le mansioni che lo hanno deumanizzato. Il robot utilizzato per le riprese (APP1802) è una creatura mobile in corrente continua, cingolata con braccio semovente e funzione di metal detector; non parla e vede attraverso una microtelecamera; è capace di ruotare su se stesso e di sollevarsi sui cingoli per superare gli ostacoli; ha 7 motori elettrici e due pannelli fotovoltaici integrati su una struttura artigianale.
L’altro video in gara, “Raptor, l’ultima speranza” , racconta invece la rinascita di un territorio, quello del Sulcis, per mano dell’uomo e del suo ingegno. La zona degradata, l’utilizzo intensivo e l’abbandono hanno generato un paesaggio che non lascia più spazio. La reazione prepotente sarà quella di costruire un robot che salverà l’ambiente e, così pure, la vita dell’uomo semplicemente facendo nascere nuova vita. Il robot protagonista (RAPTOR) è un analizzatore per terreni ed oggetti rischiosi, capace di rilevare la presenza di sostanze tossiche e pericolose per l’ambiente. È una macchina cingolata semovente dotata di contatore geiger, che ha due braccia operative e telecamera vhf a lungo raggio, una sonda perforante, lama rotante e un braccio semovente.
Il progetto dei due video genera molto affiatamento e convinzione: alla prima visione del montaggio i ragazzi mi confidano di essersi divertiti molto e che questo solamente basta a renderli fieri. Per loro non è importante vincere, ma l’esperienza fatta ha arricchito il loro bagaglio culturale e, soprattutto, umano. Concludiamo i lavori e consegno il materiale alla commissione del concorso.
Trascorre circa un mese durante il quale i ragazzi tornano alle normali attività didattiche. Il giorno in cui ci comunicano che i nostri video sono tra i primi 10 selezionati sorprendo i ragazzi in uno stato di demotivazione e sembra quasi che il loro fervore si sia affievolito. Quando veniamo convocati per l’evento finale a Cagliari, durante il quale verrà proclamato il vincitore, il loro entusiasmo si è spento definitivamente. Faccio fatica a trovare qualcuno dei ragazzi che voglia partecipare alla serata conclusiva. Solo a fine giornata due di loro mi chiedono di poter venire: ritrovo in loro il barlume che avevano perso, lo coltivo e lo nutro finché posso. Organizziamo la partenza e sarà il Prof. D. Cannas a portarli da Iglesias a Cagliari. L’evento è alla Mediateca del Mediterraneo, uno spazio culturale polivalente dall’architettura moderna e sofisticata. Ci sono studenti ovunque: italiani, stranieri e i nostri ragazzi sembrano disorientati. Ci viene chiesto di presentare il progetto e i nostri allievi hanno poco della sfrontatezza e della spontaneità che mostrano a scuola tra i compagni. I ragazzi del cagliaritano sono disinvolti e con una proprietà di linguaggio tale da sembrare quasi “abituati” a parlare in pubblico.
La sorpresa finale arriva lentamente. La giuria prende parola, capiamo che si riferisce a noi: ne abbiamo la certezza. Uno dei nostri video è il vincitore del concorso “RaIn”, i ragazzi si girano a guardarmi increduli e così pure i miei colleghi. Siamo increduli e felici. Comunico subito al preside la bella notizia, poi l’intervista sull’emittente locale di Videolina. Una bellissima emozione. La notizia rimbalza e diventa virale sui social. Gli studenti dell’Istituto professionale di Iglesias vincono un viaggio al fabLab di Barcellona, un viaggio di 3 giorni accompagnati da un docente. Uno dei ragazzi del progetto vincitore non può venire con noi e, in qualità di tutor del progetto, decido di far partecipare il più meritevole dell’altro gruppo. Parto con loro. Il viaggio in aereo per raggiungere Barcellona è per alcuni di loro il primo fuori dall’Italia, il primo viaggio da soli, il primo viaggio in Spagna, a Barcellona. Arriviamo all’albergo prendendo la metropolitana direttamente dentro l’aeroporto. L’albergo ha ogni comfort, i ragazzi una camera singola a testa, ogni surplus è un lusso. Tutto li rende euforici.
Il viaggio ha una piega culturale, cerco di far apprezzare loro tutto il possibile della città: la cucina, la vita notturna, Dalì, lo shopping, il turismo, le aree pedonali, i trasporti. Il secondo giorno ci aspetta una giornata di lavoro al Fab Lab, una fucina di idee che mette a disposizione spazio, strumenti, processi e conoscenze per lo sviluppo di rappresentazioni fisiche di dati digitali, e l’elaborazione di dati digitali da contesti fisici e reali. Gli studenti, dopo un giro di orientamento all’interno della struttura, lavorano tutta la giornata, utilizzano le apparecchiature, realizzano un progetto opensource. È uno spazio dove si può imparare a usare tecnologie digitali nell’interfacciarsi con la realtà fisica. Qui i ragazzi si confrontano con le loro possibilità e opportunità future, con le loro attitudini e capacità.
Mi diranno essere stata la cosa più bella vista a Barcellona (nonostante sia stata una giornata lunga, fatta di lavoro manuale, di osservazione delle apparecchiature e di realizzazione di progetti opensource). Il giorno dopo facciamo un’ultima passeggiata in città prima di partire, non vorrebbero più rientrare a casa, si ripromettono di tornare. Saliamo sull’aereo in silenzio e ci ritroviamo all’aeroporto di Cagliari, stanchi ma soddisfatti. Non finiscono di ringraziarmi. Lascio i ragazzi colmi di entusiasmo e di quella luce negli occhi che rende chiunque soddisfatto.
Questa esperienza vale più di tanti anni di carriera. Questi ragazzi, spesso poco motivati e provati dal contesto sociale e dal peso delle difficoltà incontrate, dovrebbero poter avere sempre la possibilità di sperimentare e vivere progetti di questo tipo. Il confronto con i coetanei, la competizione costruttiva e la condivisione delle esperienze formative sono, a mio avviso, le attività che possono spingerli fuori dal loro ambito sociale e territoriale. Esperienze come questa possono motivarli crescere, a fare per cercare di realizzare i propri sogni.
Nicoletta Schirru